Il senso di colpa è un’emozione complessa che si prova quando si percepisce di aver commesso qualcosa di sbagliato che va contro i propri principi e valori. Esso può rivelarsi estremamente utile e adattivo, in quanto può indurre a riflettere sul proprio comportamento, con la conseguenza di rimediare agli errori fatti. Altre volte, però, quest’emozione può rivelarsi pericolosa.
Senso di colpa e attaccamento
Durante l’infanzia, il bambino sviluppa un legame di completa dipendenza dalle figure adulte di riferimento. È più o meno nei primi tre anni di vita che si costruiscono le fondamenta per il futuro psicopatologico dell’individuo e, in questi anni, l’istinto è naturalmente quello di rimanere attaccati il più possibile alle figure genitoriali per poter ricevere protezione e accudimento. La priorità sarà, dunque, il mantenimento del legame, anche qualora quest’ultimo fosse problematico. Il bambino può sviluppare un attaccamento sicuro o insicuro: il secondo si presenta quando qualcosa nel rapporto tra il caregiver e il figlio “va storto”.
I sensi di colpa hanno spesso origine nell’infanzia. L’immaturità cognitiva ed emotiva del bambino e la sua visione parziale del mondo possono indurlo a fare inferenze scorrette: interpretando ogni cosa attraverso i processi imitativi degli adulti (inconsciamente visti come detentori di “verità assolute”), quando si cresce accanto ad adulti problematici, si ha più propensione a costruire “credenze disfunzionali”, come sensi di responsabilità e di colpa irrazionali qualora si sia convinti che l’espressione dei propri bisogni sia una richiesta di attenzioni sbagliata, quindi una colpa.
Qualche informazione in più…
Il senso di colpa viene definito come “emozione morale”, in quanto si presenta in chi sente di aver trasgredito in qualche modo a delle regole etiche, ma anche come “emozione complessa”, perché si sviluppa in seguito alle cosiddette “emozioni primarie” (ovvero rabbia e paura, presenti fin dalla nascita), in quanto l’esperienza stessa della “colpa” si sviluppa con il tempo.
Il senso di colpa dipende anche dal contesto socio-culturale di riferimento, ma non solo: se è vero che i sentimenti di colpa si manifestano quando si crede di non essersi comportati nel modo giusto, è anche vero che, a volte, l’idea del “modo giusto” è del tutto soggettiva e può derivare da ideali troppo alti e non realistici che ci si costruisce basandosi su ciò che accade nell’ambiente circostante.
Anche il grado di empatia dell’individuo influenza l’inclinazione a sentirsi in colpa: una persona empatica e altruista è più predisposta a sentirsi in colpa quando percepisce, ad esempio, di aver arrecato un torto a qualcuno. Empatia, senso di responsabilità, altruismo… sono tutti elementi propri del genere umano. Non nascono per essere negativi, anzi, hanno una funzione adattiva ma, se associati a pensieri errati, contribuiscono a creare pensieri ed emozioni che causano sofferenza profonda.
I “sintomi” del senso di colpa prolungato
In genere, il senso di colpa è un sentimento che si consuma relativamente in poco tempo, infatti il problema nasce nel momento in cui chi si sente in colpa non riesce ad accettare l’errore, continuando ad angosciarsi e a torturarsi in un continuo rivivere il passato nel presente attraverso immagini e ricordi dell’evento funesto. Tutto questo rimuginare porta a scollegarsi dalla realtà e a non riuscire a godere appieno del presente. Dunque, il senso di colpa prolungato produce un malessere interiore che si avverte come un turbamento profondo, a volte accompagnato da tristezza, paura e rabbia, nonché dal rimorso.
La somma di sentimenti così forti può portare a sintomi fisici come mal di testa, dolori allo stomaco, tachicardia, fiato corto e tensione muscolare, nonché a sintomi psicologici come ansia e disturbi del sonno. Nei casi più gravi, il senso di colpa può diventare un’ossessione e l’individuo può arrivare addirittura ad auto-punirsi in maniera dolorosa.
Le psicopatologie derivanti dal senso di colpa
In base alla modalità e all’intensità del senso di colpa, si possono presentare psicopatologie dalle caratteristiche anche molto diverse:
- La tendenza all’auto-rammarico sfocia nella depressione;
- La centralità del senso di colpa si riscontra negli individui con disturbo ossessivo-compulsivo;
- La totale assenza di senso di colpa (innaturale e problematica), invece, può dare vita al disturbo di personalità antisociale.
Propensione alla colpa e sensibilità alla colpa
Spesso, la colpa si sperimenta in caso di bassa autostima e rabbia verso se stessi: ci si sente in colpa anche se, razionalmente, si sa di non aver fatto nulla di male ma, allo stesso tempo, ci si sente impotenti e incapaci di concludere qualcosa di costruttivo, quindi la rabbia aumenta e inizia un circolo vizioso dal quale è meglio uscire il prima possibile.
La “propensione alla colpa” è la tendenza individuale a provare sentimenti di colpa. La “sensibilità alla colpa”, invece, è la tolleranza (più o meno scarsa) nei confronti dei sentimenti di colpa (la cui negatività può essere spesso sovrastimata). Queste variabili, soprattutto se si presentano insieme, risultano spesso correlate a sintomi ossessivo-compulsivi, in quanto possono provocare l’aumento dei dubbi e, conseguentemente, dei comportamenti di controllo.
Non sempre chi si sente in colpa ha un motivo “razionale” per farlo e, spesso, il suo senso di colpa ha una ragione così soggettiva da non riuscire a essere spiegata e/o interpretata nella maniera corretta.
Come guarire dal senso di colpa prolungato
Se il senso di colpa si cronicizza, iniziando a permeare i pensieri e a invadere la vita quotidiana, è importante chiedere aiuto a un professionista. Sicuramente, un percorso di psicoterapia classica aiuta a portare avanti un percorso di profonda conoscenza di sé, consentendo di individuare il principio del senso di colpa e le ragioni profonde di quest’ultimo, in modo da imparare a gestirlo correttamente.
Un altro tipo di trattamento in ambito psicologico è la terapia EMDR. Come funziona? Durante una seduta di EMDR vengono attivati simultaneamente tutti gli elementi del ricordo, così come è stato immagazzinato: l’immagine peggiore (quella che disturba di più), i pensieri negativi, le emozioni disturbanti e le sensazioni fisiche. Mentre il paziente “trattiene” insieme questi elementi, il terapeuta stimola i movimenti oculari (o un altro tipo di stimolazione bilaterale – tattile o uditiva). In questo modo si favorisce una doppia focalizzazione che tiene il paziente con un piede nel passato e l’altro nel presente. Questa procedura consente di desensibilizzare il ricordo e di riattivare l’elaborazione del trauma, in modo che non sia più doloroso. Il protocollo EMDR, che ha luogo nello spazio sicuro della terapia, prevede diverse fasi e la sua durata varia in base al trauma e alla responsività del paziente.
Dott.ssa Federica Majore
Psicologa del Comportamento Alimentare
Psicoterapeuta
3924131042
federica.majore@gmail.com