In questi giorni, il pensiero fisso di ogni donna in Italia è l’ennesimo femminicidio. In questi giorni, non c’è madre che non abbia stretto a sé sua figlia ancor più intensamente. In questi giorni, urliamo ancora più forte. Violenza di genere, Femminismo, patriarcato, maschilismo tossico… quanto si potrebbe dire, parlare, scrivere, ascoltare. Tra pochi giorni, sarà il 25 novembre: Giornata Internazionale Contro la Violenza sulle Donne. E non si può tacere.
Che cos’è il Femminismo
Femminismo, da definizione, significa: “Movimento di rivendicazione dei diritti economici, civili e politici delle donne; in senso più generale, insieme delle teorie che criticano la condizione tradizionale della donna e propongono nuove relazioni tra i generi nella sfera privata e una collocazione sociale paritaria in quella pubblica” (fonte: Treccani).
Le rivendicazioni femminili iniziano nel XVII secolo quando, come reazione alla cultura misogina basata sull’inferiorità biologica femminile, si comincia a sostenere l’uguaglianza tra i sessi, le cui differenze derivano, invece, dalla diversa istruzione riservata a ognuno di essi. Con l’Illuminismo, si pone l’accento sull’istruzione femminile e durante la Rivoluzione Francese le donne iniziano a partecipare a movimenti politici. Nella seconda metà dell’Ottocento, il Femminismo si sviluppa come movimento di emancipazione per ottenere la parità giuridica ma, nonostante sia chiaro che l’allora attuale situazione della donna contrasti con i principi di una società liberale e industriale, le campagne di emancipazione non hanno i risultati sperati. In Italia, le donne otterranno il diritto di voto solo nel 1946 e saranno necessari molti altri anni affinché tutte le professioni siano aperte anche alle donne.
Tra gli anno ’60 e ’70, il Femminismo si impone all’attenzione pubblica con gesti clamorosi e provocatori. Inoltre, cominciano a sorgere ovunque centri femminili di assistenza e per la tutela delle donne vittime di violenza e inizia una delle battaglie più importanti del movimento femminista: quella per la legalizzazione dell’aborto. Negli anni ’80, il dibattito prosegue ponendo l’attenzione su tematiche quali la violenza sulle donne, il maltrattamento e le molestie sessuali, con la costituzione di gruppi antiviolenza e case per le donne maltrattate. Oggi, le istituzioni governative hanno, all’attivo, programmi d’azione e politiche per le pari opportunità, ma… non basta. Vediamo insieme perché.
Patriarcato, maschilismo tossico, violenza di genere, cultura dello stupro
Da qualche anno a questa parte, complice anche il ruolo cruciale dei social media, grazie ai quali è più semplice diffondere pensieri e idee, si sta propagando una nuova ondata di Femminismo, il cui bersaglio è il Patriarcato: “Sistema sociale in cui vige il ‘diritto paterno’, ossia il controllo esclusivo dell’autorità domestica, pubblica e politica da parte dei maschi” (fonte: Treccani). Vecchie e nuove locuzioni in merito diventano di uso comune: maschilismo tossico, violenza di genere, cultura dello stupro, cat-calling, victim blaming… e diventa ancora più chiaro che non si possono più chiudere gli occhi davanti al fatto che ancora, nel secondo decennio degli anni 2000, vi siano ogni anno innumerevoli femminicidi che si svolgono all’interno di un sistema malato assolutamente da sradicare.
Viviamo in un sistema in cui anche le “piccole cose”, quelle apparentemente più “innocenti”, come un “complimento” fatto per strada, sono completamente da rivedere. Un sistema in cui sembra ancora giusto avere chat di soli uomini in cui si sessualizzano le colleghe attraverso commenti beceri. Un sistema in cui molti uomini devono ancora dare alle proprie partner il permesso per uscire con le amiche, o per vestirsi in un determinato modo. Un sistema in cui al consenso non viene riconosciuto il peso fondamentale che merita. Un sistema in cui, quando succede qualcosa di brutto a una donna, significa che “se l’è cercata”. Tutti, donne e uomini, siamo permeati dalla cosiddetta cultura dello stupro: “Cultura nella quale lo stupro e altre forme di violenza sessuale sono comuni, e in cui gli atteggiamenti prevalenti, le norme, le pratiche e i media normalizzano, minimizzano o incoraggiano lo stupro e altre violenze sulle donne” (Fonte: Wikipedia).
Noi donne siamo stanche di vivere così e lo stiamo urlando al mondo, perché abbiamo la necessità di farci sentire. Cosa chiediamo agli uomini? Non di vergognarsi di essere uomini, non di prendersi la colpa per crimini che non hanno commesso… ma di rimboccarsi le maniche, a partire dalle piccole cose. Perché è dai piccoli gesti che derivano quelli grandi, è dalle cose apparentemente più futili che si comincia una vera e propria rivoluzione.
Nazifemminismo
“Rivoluzione” è una parola forte. Indica “il processo rapido, e per lo più violento, attraverso il quale ceti, classi o gruppi sociali, ovvero intere popolazioni, sentendosi non sufficientemente rappresentate dalle vigenti istituzioni, limitate nei diritti o in una posizione sociale subalterna, sovvertono tali istituzioni al fine di modificarle profondamente e di stabilire un nuovo ordinamento. In senso più ampio, qualsiasi processo storico o movimento, anche non violento e protratto nel tempo, attraverso il quale si determini un radicale mutamento di fatto delle strutture economico-sociali e politiche, o di particolari settori di attività” (fonte: Treccani).
Di fatto, è in atto una vera e propria rivoluzione. Noi donne, logorate dall’ennesima morte che poteva essere evitata, dall’ennesimo caso di stupro, dall’ennesima volta in cui veniamo palpate senza alcun consenso, sessualizzate, apostrofate per strada, stiamo usando termini forti. Stiamo facendo paragoni forti. Stiamo utilizzando metafore e similitudini scomode… stiamo cercando di farci sentire, di far capire. La rivoluzione non utilizza termini gentili, non si fa carico della sensibilità altrui, non è politically correct. Da qui, l’accusa di “Nazifemminismo”, un tipo di Femminismo così radicale da essere intollerante verso le idee altrui.
La maggior parte della popolazione, purtroppo, non ha gli strumenti per andare oltre, per leggere tra le righe, per capire che non stiamo urlando “assassino!” o “stupratore!” a qualsiasi uomo ci capiti a tiro. E nessuno vuole dare il via a una “guerra tra sessi”, non sarebbe utile. Quello che vogliamo è essere viste, ascoltate, riconosciute. Chiediamo empatia, vogliamo collaborazione, vogliamo sovvertire il sistema… insieme. Ma, per riuscirci veramente, dobbiamo volerlo tutti, impegnarci tutti. E, prima di impegnarci su un fronte comune, dobbiamo riuscire a comunicare tra noi. La rivoluzione non è gentile, è vero… ma in questo caso, per essere efficace, fondamentalismi esageratamente radicali non sono utili a nessuno.
“Not all men”
Di fronte alle tragedie che continuano a perpetrarsi, però, quando siamo sempre più distrutte, arrabbiate, avvilite, scoraggiate, gli uomini, invece, punti sul vivo, continuano a ripetere “Not all men!”, quasi uno slogan, intendendo che non tutti gli uomini sono così, che non è vero che tutti i bravi ragazzi sono potenzialmente assassini e che, al contrario, la maggior parte degli uomini è educata e non sfiorerebbe una donna nemmeno con un fiore. Ecco il rischio dei fondamentalismi, per quanto fondati su pensieri assolutamente giusti e condivisibili: dare l’opportunità di spostare il focus. L’attenzione deve essere e deve rimanere puntata sulle differenze di genere totalmente errate, sulla perpetrata violenza di genere, sulle tragedie che si consumano ogni giorno e non sul fatto che non tutti gli uomini sarebbero capaci, né vorrebbero replicarle. La vera domanda che dovrebbe porsi ogni uomo è: cosa posso fare io?
E cosa possiamo fare tutti, davvero, nella nostra quotidianità? Come può agire ognuno di noi per sradicare il sistema malato in cui viviamo? La parola d’ordine è: collaborazione.
L’importanza di educazione e istruzione
Tutto inizia dall’educazione e dall’istruzione. Sì, come si era già stato evidenziato durante l’Illuminismo. Ancora oggi, però, vi sono, purtroppo, differenze tra gli stili educativi in base al genere. Dal genere dei bambini, infatti, dipende spesso il comportamento di genitori e tutori che, il più delle volte, incoraggiano le bambine a essere brave, compiacenti e diligenti, mentre con i bambini sono più permissivi e indulgenti, ma meno attenti a ciò che riguarda la sfera emotiva. Questi modelli, che limitano il potenziale espressivo di bambine e bambini, vengono spesso interiorizzati, per poi riproporsi in età adulta, e risultati sono perfettamente visibili nella società attuale. Ecco perché bisogna rivedere tutto, a casa e a scuola. È fondamentale educare al rispetto dell’altro. Il mondo della scuola può fare molto per valorizzare la personalità di ciascuno, acuire la capacità di ascolto reciproca, orientare bambini e bambine affinché mettano a frutto nel modo migliore le loro inclinazioni e siano in grado, in futuro, di instaurare rapporti appaganti, basati sul rispetto. Si dovrebbero sempre inserire questo tipo di insegnamenti nei programmi scolastici.
Dalla stessa parte
Siamo tutti dalla stessa parte e dobbiamo assolutamente collaborare, lavorare insieme. Perché chi stupra, chi uccide non ha “avuto un raptus”, non è “pazzo” o “malato”… è un uomo normalissimo, figlio della società patriarcale. E allora è fondamentale rendersene conto, bisogna che gli uomini se ne accorgano, che aprano gli occhi e si prendano la responsabilità, non del gesto, ma dell’essere tutti parte di una cultura patriarcale. Una volta riconosciuto questo, una volta capito che per non essere parte del problema bisogna fare di tutto affinché si possa prevenire, affinché non accada di nuovo, si potrà davvero collaborare.
Cosa può fare un uomo, nel suo piccolo? Ascoltarci, evitare di urlare “complimenti” non richiesti per strada, redarguire un collega che commenta il fisico di una collega, parlare con quell’amico eccessivamente geloso con la propria partner… sono solo alcuni esempi, ma bastano per capire che serve poco per fare la propria parte. E bisogna farla ogni giorno, lavorando innanzitutto sulle radici di questo assurdo sistema.
Come riconoscere una situazione di violenza di genere
Alcuni mestieri danno il privilegio di trovarsi in prima linea quando si tratta di argomenti importanti e delicati come la violenza di genere. Psicologo e psicoterapeuta sono tra questi.
Per violenza di genere si intende: “Ogni atto di violenza fondato sul genere che abbia come risultato, o che possa probabilmente avere come risultato, un danno o una sofferenza fisica, sessuale o psicologica per le donne, incluse le minacce di tali atti, la coercizione o la privazione arbitraria della libertà, che avvenga nella vita pubblica o privata” (Dichiarazione sull’eliminazione della violenze contro le donne, Assemblea generale della Nazioni Unite 1993).
La violenza di genere sfocia spesso nella violenza domestica: secondo l’OMS – Organizzazione Mondiale della Sanità la violenza domestica è un fenomeno molto diffuso che riguarda ogni forma di abuso psicologico, fisico, sessuale e le varie forme di comportamenti coercitivi esercitati per controllare emotivamente una persona che fa parte del nucleo familiare. Il fenomeno della violenza domestica risulta essere diffuso in tutti i Paesi e in tutte le fasce sociali, gli aggressori appartengono a tutte le classi e a tutti i ceti economici, senza distinzione di età, razza, etnia, e le vittime coinvolte possono appartenere a ogni estrazione sociale di ogni livello culturale. Nel lungo periodo, la violenza domestica ha conseguenze negative importanti anche sul piano relazionale: le vittime che la subiscono spesso perdono il lavoro, la casa, gli amici e le risorse economiche di sostentamento. La violenza domestica parte dalla tossicità relazionale e ha tante forme, tra cui l’aggressione fisica, manifestazioni di repressione, minacce, l’abuso sessuale, il maltrattamento psicologico, l’intimidazione, lo stalking e la privazione economica. Per paura o vergogna, spesso non si denuncia l’accaduto e, a lungo andare, la violenza domestica può provocare danni fisici e avere gravi ripercussioni sulla vita psichica delle vittime, perché può far sviluppare problemi psicologici come sindromi depressive, ansia e tensione, sensi di colpa, vergogna, bassa autostima, Disturbo da Stress Post-Traumatico e le condizioni di chi subisce la violenza sono tanto più gravi quanto più la violenza si protrae nel tempo.
Chiedere aiuto
Nessuno di noi conosce veramente le situazione reale in cui può trovarsi un’altra persona. Dire “denuncia!” non è sbagliato ma, allo stesso tempo, è tanto facile, quanto banale. Diventare consapevoli di essere vittima di violenza non è semplice: è molto doloroso e uscire da una situazione di abuso è complesso. Per intraprendere un percorso di uscita dalla violenza, occorre l’aiuto da parte di professionisti: è importante sentirsi sostenute e non giudicate: ricordiamo che non esiste giustificazione alcuna che possa, anche solo in parte, dare una responsabilità della violenza alla vittima che la subisce. La Fondazione Pangea aiuta le donne vittima di violenza a trasformare la loro vita e a uscire da una quotidianità di violenze e discriminazioni, per ricostruire una nuova vita. Se si è in una condizione di violenza o se ne è testimoni, bisogna scrivere a: sportello@reamanetwork.com o chiamare il 1522 – numero anti violenza e stalking (servizio pubblico).
Proprio perché la violenza nel lungo periodo lascia conseguenze difficili da superare, anche chi, in qualche modo, è riuscita a uscire dalla situazione di violenza in cui si trovava ha altrettanto bisogno di aiuto. Stress, maltrattamento domestico, abuso infantile e altri eventi di vita negativi rappresentano importanti fattori di rischio che minano la conduzione di una vita serena. L’EMDR è una terapia efficace per il trattamento di traumi di diversa natura. Essa sfrutta i movimenti oculari attraverso una stimolazione bilaterale alternata per facilitare e accelerare la desensibilizzazione e l’elaborazione di eventi traumatici disturbanti. Particolarmente indicato nella cura del Disturbo da Stress Post-Traumatico, L’EMDR è un approccio sempre più raffinato, complesso e globale, in grado di affrontare gran parte dei disturbi psicopatologici. Intervenire con l’EMDR sulle vittime, ma anche sui figli esposti alla violenza domestica, è fondamentale per interrompere il ciclo dell’abuso e la trasmissione dei modelli di comportamento disfunzionale attraverso le generazioni. L’approccio EMDR offre l’occasione non solo di rielaborare i traumi del passato, ma anche di potenziare le capacità personali e le risorse individuali, per affrontare le sfide della vita quotidiana e per andare davvero “oltre il trauma”.
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Dott.ssa Federica Majore
Psicologa del Comportamento Alimentare
Psicoterapeuta
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